Un legge paradosso crea una sentenza paradosso.
Il 30 maggio le Sezioni Unite Penali della Corte Suprema di Cassazione hanno emanato una sentenza sulla commercializzazione della cannabis light in Italia. La Corte era stata chiamata a fare chiarezza sulla liceità della commercializzazione delle infiorescenze della cannabis light e dei prodotti derivati e se queste rientrino nell’ambito di applicabilità della Legge 242/2016.
Nella mattinata di ieri, La procura generale della Cassazione nella persona di Maria Giuseppina Fodaroni, aveva chiesto di inviare gli atti alla Corte Costituzionale per la decisione sulla commercializzazione della cannabis light, durante l’udienza che si è tenuta a porte chiuse. Nella tardo pomeriggio però, la Corte di Cassazione ha emanato il suo verdetto.
Cosa dice la sentenza?
La commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, pertanto, integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante.
Cosa significa?
Secondo la Cassazione quindi, vendere le infiorescenze della cannabis light e derivati sarebbe illegale perché non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della Legge n. 242/2016, che ha lo scopo di promuovere la filiera agroindustriale della canapa. La commercializzazione di tali sostanze poi, costituirebbe reato ai sensi del Testo Unico sugli Stupefacenti (DPR 309/90), salvo che queste sostanze siano prive di effetto psicotropo.
Ma la cannabis light e i prodotti derivati da essa rientrano proprio nella categoria dei prodotti privi di ‘efficacia drogante’. Inoltre, la Cassazione non tiene in conto il concetto di filiera agroindustriale della canapa, oggetto principale della 242/2016. Per filiera si intende infatti, il sistema delle principali attività, tecnologie, risorse e organizzazioni che concorrono alla creazione, trasformazione, distribuzione, commercializzazione e fornitura di un prodotto agroalimentare. Come ha scritto l’avvocato Giacomo Bulleri infatti, “L’utilizzo del termine filiera denota come la legge sia naturalmente rivolta alle aziende (agricole e commerciali), le quali naturalmente dovranno poter vendere i prodotti ottenuti dalla filiera. Appare contrario ad ogni logica giuridica sostenere che la L. n. 242/2016 sarebbe rivolta soltanto alla coltivazione della canapa e non alle fasi successive”.
Una sentenza contraddittoria
“La sentenza è contraddittoria. Il commerciante può vendere infiorescenze, oli e prodotti della cannabis che non abbiano effetti psicotropi. Per efficacia drogante si intende un livello percentuale di THC pari o inferiore allo 0,5%, che è un livello stabilito convenzionalmente dalla comunità scientifica” afferma l’avvocato Carlo Alberto Zaina, che ha seguito l’iter processuale in prima persona. “La comunicazione della sentenza è molto approssimativa, lascia ampi spazi di interpretazione perché, sebbene parli di prodotti derivanti dalla Cannabis Sativa L., applica un principio valevole teoricamente per qualsiasi varietà di canapa. Mi sembra che la sentenza non abbia aiutato a chiarire la legge” aggiunge.
Anche per il presidente di Federcanapa Beppe Croce, questa sentenza non cambia nulla dal punto di vista legale. “Sembra molto chiara la frase della sentenza che afferma che non è reato commercializzare i prodotti di cannabis che non contengano effetti ‘droganti’. I dati della letteratura forense internazionale dicono che il THC sotto lo 0.5% non è privo effetto psicotropo”, ha commentato. “Gli effetti della sentenza però, hanno scatenato una ‘caccia alle streghe’. Bisognerebbe anche conoscere le motivazioni che hanno portato a questa sentenza, ma finché si commercializzano prodotti con un livello di THC uguale o sotto lo 0,5% non si commette reato”.
Secondo il senatore del MoVimento 5 Stella Matteo Mantero, che ad inizio anno aveva depositato una proposta di legge sull’autocoltivazione della cannabis, quello che si evince dalla sentenza è il limite della Legge 242/2016. “A livello politico, l’urgenza è quella di intervenire per chiarire e modificare la L. n. 242/2016, aggiungendo esplicitamente nel testo della legge la possibilità di vendere le infiorescenze di cannabis”, ha dichiarato.
Per approfondire questa sentenza bisognerà attendere le motivazioni della Corte, ma non c’è ancora una data precisa sulla loro pubblicazione.