L’idea che la cannabis faccia da apripista all’assunzione delle droghe pesanti è stata smentita da diversi studi scientifici. Ma è ancora popolare nell’immaginario collettivo. Cos’è la teoria del passaggio?
La Teoria del passaggio (The Gateway Drug Theory) è quella ipotesi secondo la quale l’uso della cannabis porterebbe in futuro all’uso di droghe cosiddette pesanti, come la cocaina e l’eroina.
Come conseguenza, la teoria del passaggio ha anche alimentato l’idea che non ci sia distinzione tra droghe leggere e pesanti. Ancora oggi, l’idea dell’assenza di distinzione tra droghe leggere e pesanti è uno dei motivi principali per i quali molti governi non legalizzano la cannabis. Ma quanto c’è di vero nella Teoria del passaggio e qual è la sua valenza scientifica?
Un po’ di storia
La teoria del passaggio risale agli anni ‘30 e prende piede negli Stati Uniti d’America. Harry Ansliger, capo del Federal Bureau of Narcotics, l’agenzia federale sui narcotici, aveva promosso una campagna contro la cannabis dopo aver partecipato attivamente alla campagna contro l’alcol, che rimase illegale negli Stati Uniti D’America dal 1920 al 1933. Ed è proprio in quel periodo che Anslinger sviluppò una campagna contro l’uso della cannabis, utilizzando i media dell’epoca come uno strumento di propaganda per diffondere l’idea che la cannabis fosse una sostanza così dannosa da indurre le persone a commettere atti criminali e violenti.
La propaganda
La propaganda contro la cannabis era iniziata soprattutto dal nome che le era stato affibbiato: marijuana. Questo termine, probabilmente di origine messicana, era stato reso popolare da Anslinger durante la propaganda contro la cannabis ed era stato connotato di un significato negativo.
Dalle parole ai fatti
La Federal Bureau of Narcotics raccolse una serie di notizie di cronaca nera sostenendo che il motore scatenante quegli episodi fosse stato l’uso della cannabis. I cosiddetti Gore Files infatti, raccontavano storie di violenza, stupri e omicidi da parte di persone che avevano consumato cannabis. La propaganda contro la cannabis perpetrata da Ansliger portò all’emanazione della Marihuana Tax Act del 1937. La legge, firmata dal trentaduesimo presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Delano Roosvelt, non vietava espressamente il consumo, la compravendita o la coltivazione della canapa, ma di fatto rendeva economicamente improponibile il suo utilizzo. In sostanza, la legge tassava di un dollaro qualsiasi transazione commerciale riguardante la pianta o derivati di essa. Introduceva un sistema burocratico complesso a discapito dei possessori e dei coltivatori. Qualsiasi tentativo di evasione veniva punito con cinque anni di prigione oppure fino a 2000 dollari di multa, o entrambe, a discrezione della corte.
Il Rapporto La Guardia
Ad opporsi alla propaganda del Federal Bureau of Narcotics di Anslinger ci pensò l’allora sindaco della città di New York Fiorello La Guardia. Nel 1938 nominò una commissione d’inchiesta formata da medici, professori e ricercatori per capire i reali effetti della cannabis sulla salute. Nel 1944, venne pubblicato lo studio. Contrariamente a quanto sostenuto da Anslinger, il Rapporto La Guardia evidenziava l’assenza di correlazione tra dipendenza e uso di cannabis, nessuna rapporto tra l’uso di cannabis ed episodi di violenza e delinquenza e nessun passaggio alle droghe pesanti indotto dalla cannabis. In sostanza, il Rapporto La Guardia, smentiva i punti salienti della propaganda del Federal bureau of Narcotics.
La contromossa di Anslinger e la Commissione Shafer
La reazione di Anslinger non si fece attendere. Definendolo “non scientifico”, Anslinger denunciò il sindaco La Guardia, la New York Academy of Medicine e i membri che avevano preso parte allo studio. Inoltre, interruppe ogni tipo di ricerca sulla cannabis tra il 1944 e il 1945. Incaricò L’American Medical Association (AMA), che si era opposta al Marihuana Tax Act del 1937, a redigere uno studio che rispecchiasse le posizioni governative. Nello studio condotto dall’AMA si trovavano frasi del tipo: ““del gruppo sperimentale, 34 erano negri e uno era bianco; quelli che fumavano marijuana diventavano irrispettosi dei soldati bianchi e degli ufficiali durante la segregazione militare”.
La stessa AMA, smentì quel report quando, nel 1972, uno studio commissionato dal trentasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon nominò il politico Raymond Shafer presidente della Commissione nazionale sulla Marijuana e l’abuso di droghe (conosciuta anche come Commissione Shafer), con l’incarico di stabilire i reali effetti della cannabis e valutare un eventuale declassamento della sostanza dalla tabella 1 (droghe pesanti) alla tabella 2 (droghe leggere). Nel 1972 i risultati dello studio Marihuana: A Signal of Misunderstanding, confutarono l’infondatezza della teoria del passaggio ma non portarono a un effettivo declassamento della sostanza da parte del governo. Lo studio si pronunciò anche sulle campagne mediatiche contro la cannabis di Anslinger, concludendo che lo studio commissionato all’AMA non aveva nessuna valenza scientifica.
Le teorie di Kandel e DuPont
Nonostante il Rapporto La Guardia e la Commissione Shafer avessero smentito la teoria del passaggio, questa era destinata ad avere la meglio sul pensiero collettivo nei riguardi della cannabis. Negli anni ‘70 e ‘80, a rinforzare tale teoria, ci avevano pensato gli studi di Kandel e DuPont.
Gli studi della sociologa americana Denise Kandel, si erano incentrati sull’assunzione di droghe legali e illegali. Attraverso studi longitudinali, che prevedono lo studio nel corso del tempo sullo stesso campione/soggetto, Kandel aveva formulato nel 1975 l’ipotesi che l’uso di sostanze stupefacenti iniziasse con l’uso di droghe legali, come alcol e tabacco, rendendo queste sostanze un passaggio necessario tra il non uso e l’uso di droghe pesanti. Nello specifico, lo studio affermava “che alcol e tabacco sono intermedi necessari tra il non uso e la cannabis. Mentre il 27% degli studenti delle scuole superiori che fumano e bevono progrediscono verso la marijuana entro un periodo di 5-6 mesi, solo il 2% di coloro che non hanno utilizzato alcuna sostanza legale lo fa. La cannabis, a sua volta, è un passo cruciale sulla strada verso altre droghe pesanti”.
Ma è con Robert DuPont, psichiatra americano, che si gettano le basi della teoria del passaggio. Nel suo libro Getting Tough on Gateway Drugs: A Guide for the Family (1984), aveva gettato le basi sociopsicologiche della teoria del passaggio. DuPont aveva descritto la cannabis come una delle droghe più pericolose in circolazione perchè chi inizia ad assumere cannabis quasi sicuramente passerà a sostanze stupefacenti più pesanti.
Sia Kandel che DuPunt si basavano su statistiche per le quali i consumatori di droghe pesanti avevano avuto esperienza anche con il consumo di cannabis. Ma le loro teorie non trovano una causalità tra consumo di cannabis e l’assunzione di droghe pesanti.
Anche il National Institute on Drug Abuse smentisce la teoria del passaggio
Infatti, la maggior parte delle persone che usano la cannabis non usa altre sostanze cosiddette pesanti. Come ha affermato persino il National Institute on Drug Abuse (NIDA), l’istituto di ricerca statunitense sull’abuso di sostanze stupefacenti, “la maggior parte delle persone che usano la cannabis non usa altre sostanze cosiddette pesanti. È importante notare che altri fattori oltre ai meccanismi biologici, come l’ambiente sociale di una persona, concorrono nel rischio che una persona usi sostanze stupefacenti”.
Ma già un’altra analisi del think tank statunitense RAND Corportation (Research and Develepment) del 2002, aveva dimostrato che non è l’uso della cannabis che porta al consumo di droghe pesanti, ma piuttosto sono le opportunità individuali e le inclinazioni uniche degli individui che portano al consumo di questo tipo di droghe. Sebbene la ricerca non smentisce la teoria del gateway, fornisce una spiegazione alternativa degli assunti della teoria del passaggio.
La teoria della Responsabilità Comune
Un’altra idea che dà una versione diversa da quella della gateway drugs theory e si avvicina alla posizione del NIDA è la teoria della Responsabilità comune. Il professore di scienze farmaceutiche Michael M. Vanyukov aveva formulato la teoria della Common Liability (Responsabilità Comune) in uno studio svolto nel 2012 con il collega Ty A. Ridenour. Secondo Vanyukov “la teoria del passaggio è carente di potere esplicativo, supporto empirico e utilità. La teoria della Responsabilità Comune affronta la dipendenza da una prospettiva biopsicosociale evolutiva, che va dalla variazione genetica alla socializzazione, e fornisce uno sfondo per i meccanismi di rischio di dipendenza sia specifici che non specifici legati alla legalità delle sostanze”. In pratica, ciò che afferma Vanyukov è che ci sono molti fattori che concorrono alla predisposizione di un soggetto alla dipendenza di una sostanza. Una persona può consumare cannabis, tabacco o alcol senza necessariamente passare all’assunzione di sostanze più pesanti.
Debunking della teoria del passaggio
La teoria del passaggio, più che un’analisi basati su fatti oggettivi, sembra essere un’ipotesi basati su processi logici semplicistici ma fallaci. Secondo un report dell’organizzazione non-profit Drug Policy Alliance infatti, “è noto nella comunità scientifica da quasi vent’anni che la maggior parte dei tossicodipendenti inizia con alcol e nicotina prima della marijuana – di solito prima che abbiano raggiunto l’età legale. Poiché il fumo di sigarette e l’uso di alcol in genere precedono l’uso della cannabis, la cannabis è raramente la prima ‘porta d’accesso’ all’uso illecito di sostanze stupefacenti pesanti”.
Uno altro studio canadese condotto nel 2018 sull’associazione tra la cannabis e il passaggio alle droghe per iniezione ha smentito la teoria del passaggio affermando che su 481 giovani, 228 (47,4%) hanno riferito di un consumo giornaliero di cannabis e 103 (21,4%) hanno iniziato a usare droghe per iniezione. Questo studio mette in discussione il punto di vista della cannabis come sostanza di passaggio che fa precipitare la progressione nell’uso delle droghe cosiddette pesanti.
Se la teoria del passaggio fosse vera, ci aspetteremmo di vedere molti più consumatori di droghe pesanti rispetto a quanti ce ne sono in realtà. Infatti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 2,5% della popolazione mondiale (circa 147 milioni di persone) consuma cannabis nel mondo, contro lo 0.2% di chi consuma cocaina e oppiacei.
La teoria del passaggio cade vittima dell’erronea assunzione che la correlazione implichi solo la causalità. Ma ci sono diversi fattori che concorrono al fatto che una persona passi dall’uso della cannabis all’uso di droghe pesanti e la cannabis non è la causa scatenante questo passaggio.
Cannabis come exit drug
Più che sostanza di passaggio alle droghe pesanti, la cannabis sembra essersi rivelata una exit drug, una sostanza capace di allontanare le persone dall’uso di sostanze cosiddette pesanti e in grado di svolgere un ruolo sostitutivo dei farmaci oppiacei.
- Approfondimento: Cannabis, da Gateway a Gateway, la Teoria del passaggio smontata da Frenchy Cannoli
Uno studio canadese del 2017 ha rilevato come la cannabis sia percepita come un trattamento efficace per diverse condizioni, come per il trattamento del dolore e quello della salute mentale. I risultati mostrano un alto consumo di cannabis come sostitutivo dei farmaci da prescrizione (63%), in particolare oppiacei (30%), benzodiazepine (16%) e antidepressivi (12%). I pazienti hanno anche riferito di sostituire la cannabis con alcool (25%), sigarette / tabacco (12%) e altre droghe (3%). Infine, lo studio afferma che “sebbene studi precedenti suggeriscono che l’uso di cannabis incentivi l’uso di droghe pesanti, è incoraggiante apprendere che nel presente studio l’uso di cannabis non abbia aumentato questo rischio”. Esistono prove, precedentemente descritte, che suggeriscono che l’impatto del consumo di cannabis sui successivi comportamenti, cioè l’uso di droghe pesanti, può dipendere da esposizioni aggiuntive a fattori di rischio.
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