Soluzione Cannabis: è questo il nome in oggetto della lettera spedita dall’Associazione Sindacale Autonoma Coltivatori, Lavoratori e Lavorazione Canapa A.S.A.C.C. al Ministero dell’Interno.
A scrivere al Ministero sarebbe stato Andrea Rossi, uno dei padri fondatori dell’associazione, che però non figura come tale. Nell’email inviata al Dipartimento di Pubblica Sicurezza e al Dipartimento per le libertà civili e immigrazione inviata il 10 maggio 2019 si legge che “la chiusura del mercato della canapa potrebbe esser visto male da tutti quelli lavorano in questo settore”, riferendosi alle ultime dichiarazioni del Ministro dell’Interno Matteo Salvini che annunciava la chiusura dei negozi dove si vendeva cannabis light.
Cosa dice l’e-mail?
“Dobbiamo in primis fare una distinzione tra i negozietti growshop che non sono attività regolate a dovere e il resto della filiera della canapa” continua la lettera. Andrea Rossi, oltre criticare i growshop, denuncia l’eccessivo prezzo delle infioresce vendute nei negozi, consigliando di calmierare il prezzo delle infiorescenze vendute come biomassa. Inoltre, il fondatore dell’ASAAC consiglia di certificare la genetica del materiale venduto perché “molti di questi negozi importano canapa indiana abbassata chimicamente nei valori di THC” ricordando che questa prativa vada contro l’art. 26 del DPR 309/90.
La risposta delle associazioni di settore
L’email ha suscitato scalpore e dure critiche contro l’ASAAC da parte delle associazione di settore. In un comunicato congiunto, l’Associazione Canapa Sativa Italia, Federcanapa, il Consorzio Nazionale Tutela Canapa e l’Associazione Culturale Gli Amici di Nonna Canapa il 22 maggio 2019 hanno preso le distanze dall’iniziativa dell’ASAAC.
Ecco il testo del comunicato:
Prendiamo atto, con enorme stupore, dell’iniziativa intrapresa dal signor Andrea Rossi a nome dell’A.S.A.A.C. ossia l’Associazione Sindacale Autonoma Coltivatori, Lavoratori e Lavorazioni Canapa, il quale ha trasmesso al Ministero dell’Interno lo scorso 10.05 una nota dal titolo – già di per sé assai pretenzioso – “soluzione cannabis”.
In tale nota vengono fatte alcune affermazioni estremamente generiche e semplicistiche che denotano una scarsa conoscenza del fenomeno “cannabis light”.
In particolare non può essere condivisibile una “criminalizzazione” indistinta di tutti i growshop, definiti “negozietti”, i quali, pongono in essere una condotta che la parte maggioritaria della giurisprudenza ha ritenuto del tutto lecita. Del resto se la canapa industriale con valori di THC inferiori alla soglia di legge non produce effetti psicoattivi perché dovrebbe essere vietata?
Riteniamo comunque che la determinazione della liceità o meno di un comportamento all’interno del quadro normativo vigente non spetti né al signor Rossi né a singoli politici, bensì spetti soltanto alla magistratura nell’esercizio della funzione precipua di garante dell’osservanza delle leggi.
Ma al di là delle considerazioni esposte nella lettera – che tutto al più – hanno una valenza a titolo personale e dell’associazione menzionata, ciò che appare quantomeno “singolare” è che un Ministero abbia diffuso una nota di un singolo soggetto al Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione (e conseguentemente alle singole stazioni di polizia) prendendo per buone affermazioni gratuite, generiche e prive di alcun pregio giuridico e sostegno probatorio.
Riteniamo che la condotta in questione abbia il solo fine di creare ulteriore confusione ed equivoci in un settore già fortemente penalizzato da retaggi e pregiudizi culturali che di certo non necessita di associazioni di categoria (o pseudo tali) che ritengono, in maniera del tutto arbitraria, di detenere “soluzioni cannabis” senza tener conto della complessità del fenomeno. In tale prospettiva l’unico risultato concreto è quello di individuare un unico soggetto “colpevole” della filiera (i negozianti) che paghi sulla propria pelle le storture interpretative ed il clima politico che si è creato. Il tutto senza contare come i negozi non rappresentano il male da combattere, ma rappresentano la vetrina di un settore e che tra l’altro sono aperti in tutta Italia da moltissimi anni e non si limitano a vendere soltanto cannabis light né tantomeno possono essere considerati degli “spacciatori” come qualcuno vorrebbe sostenere.
Singolare poi che tali istanze limitative della libertà individuale e di iniziativa economica provengano addirittura da chi si definisce “Associazione Sindacale” del settore canapa.
Ed ancora più grave la condotta di un Ministero che prende per buone le affermazioni del primo venuto senza eseguire un’accurata istruttoria e presa di coscienza del fenomeno sul quale le associazioni di categoria (quelle veramente rappresentative del settore) hanno chiesto una regolamentazione certa a tutela della legalità e delle imprese ed hanno avviato percorsi di autoregolamentazione con disciplinari e sistemi di certificazione della qualità.
Ma l’ASAAC prende le distanze da Andrea Rossi
Il vicepresidente nazionale dell’ASAAC Danilo Cusimano ha preso le distanze dall’email inviata da Andrea Rossi. In seguito ad una conversazione telefonica con Weed World ha dichiarato:
Ci dissociamo da quello che ha scritto e dalle sue intenzioni. Andrea Rossi era un vicepresidente ma gli abbiamo già revocato la nomina e tolto da qualsiasi incarico nel coordinamento nazionale e come associato. Ha fatto una cosa all’oscuro di tutti. Ha fatto tutto da solo, noi non sapevamo niente, infatti non c’è più nel sito, nei vari canali social e ovviamente nel coordinamento nazionale. Inoltre, prenderemo provvedimenti a riguardo.
Anche sulla pagina ufficiale di Facebook, l’ASAAC ha preso le distanze da quanto scritto da Andrea Rossi.
E ieri hanno pubblicato un comunicato ufficiale che potete leggere qui sotto.