La Corte di Cassazione a Sezioni Penali Unite ha risposto a un quesito giurisprudenziale sul reato di coltivazione di cannabis in casa. Ma non cambia la legge in vigore.
Il 19 dicembre 2019, la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Penali Unite ha pubblicato una sentenza su una controversia riguardante la coltivazione in casa di due piante di cannabis.
Coltivare cannabis in casa per uso personale lede la salute pubblica e favorisce la circolazione della sostanza alimentandone il mercato? Secondo la Cassazione, no.
Infatti, le Sezioni Unite hanno risposto che coltivare cannabis non costituisce un reato nei casi in cui la coltivazione sia destinata a uso privato.
Uno dei primi siti online a darne la notizia è stata AGI il 26 dicembre 2019, seguita poi dalle maggiori testate nazionali, fino ad arrivare a media internazionali come Reuters, The New York Times e Deutsche Welle.
Bisogna specificare che questa sentenza, pur essendo un tassello importante per la giurisprudenza sul reato di coltivazione di cannabis e uno strumento utile per portare avanti le istanze per legalizzazione della pianta, non cambia nulla sotto il profilo legislativo.
Ecco perché:
- Questa sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Penali Unite non modifica la legge (in questo caso parliamo del Testo Unico sulla droga, DPR n. 309/90), ma provvede a dare un’indicazione di principio. Sarà compito del legislatore cambiare la legge legalizzando la cannabis.
- Questa sentenza non è storica: in passato ci sono state sentenze che hanno ritenuto idonea una coltivazione domestica a uso personale. Più avanti, vedremo quali.
- Questa sentenza non legalizza la coltivazione domestica di cannabis a uso personale. Potranno continuare le denunce, i sequestri e tutto ciò che attualmente comporta coltivare cannabis in casa.
Ma procediamo con ordine.
Cosa dice la sentenza?
Vediamo innanzitutto qual era il quesito che le Sezioni Uniti hanno dovuto affrontare:
Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la qualità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato.
Sul punto, la Corte ha assunto la seguente posizione:
Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.
Per spiegare al meglio cosa abbia voluto dire la Corte, abbiamo chiesto all’avv. Carlo Alberto Zaina, un commento sulla sentenza.
2 Comments