Una sentenza ha scosso aziende e commercianti. La cannabis light è sotto attacco politico. I media non aiutano a capire. Ma tra paura e insicurezza il settore resiste e reagisce. E la cannabis light è ancora legale.
Il 30 maggio 2019 è una data che gli addetti del settore della cannabis si ricorderanno. Quel giorno, la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Penali Unite ha emanato una sentenza sulla commercializzazione della cannabis light. La Corte infatti, era stata chiamata a fare chiarezza sulla liceità della commercializzazione delle infiorescenze della cannabis light e dei prodotti derivati e se la loro vendita rientrasse nell’ambito di applicabilità della legge n. 242/2016, che regola le disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.
Cosa dice la sentenza?
Nel tardo pomeriggio del 30 maggio, la Corte si era pronunciata. “La commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, pertanto, integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
Secondo la Cassazione quindi, vendere le infiorescenze della cannabis light e derivati sarebbe illegale, perché non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della legge 242/2016, che ha lo scopo di promuovere la filiera agroindustriale della canapa. La commercializzazione di tali sostanze poi, costituirebbe un reato, ai sensi del Testo Unico sugli Stupefacenti (DPR 309/90), salvo che queste sostanze siano prive di effetto psicotropo, cioè l’effetto provocato dal tetraidrocannabinolo (THC) uno dei tanti cannabinoidi presenti nella cannabis.
Reazioni e spiegazioni
La sentenza ha destato preoccupazione tra gli addetti del settore. I proprietari dei growshop hanno avuto paura che i loro investimenti e sacrifici venissero vanificati da una sentenza che doveva fare chiarezza sulla legislazione vigente, ma che ha invece creato ancora più scompiglio.
In tutto questo marasma generale, i media nazionali non hanno aiutato a raccontare la sentenza nei migliori dei modi. Infatti, è passata la notizia che fosse vietato vendere la cannabis light.
Ma è davvero così? Per capire la sentenza in maniera più approfondita, Weed World Italia ha intervistato l’avv. Carlo Alberto Zaina, che ha seguito le vicende della sentenza del 30 maggio in prima persona. “La sentenza è contraddittoria. Il commerciante può vendere infiorescenze, oli e prodotti della cannabis che non abbiano effetti psicotropi. Per efficacia drogante si intende un livello percentuale pari o inferiore allo 0,5%, che è un livello stabilito convenzionalmente dalla comunità scientifica. La comunicazione della sentenza è molto approssimativa, lascia ampi spazi di interpretazione perché, sebbene parli di prodotti derivanti dalla Cannabis Sativa L., applica un principio valevole teoricamente per qualsiasi varietà di canapa. Mi sembra che la sentenza non abbia aiutato a chiarire la legge”.
E non è il solo a pensarla così. Il senatore del Movimento 5 Stelle Matteo Mantero, che all’inizio del 2019 aveva presentato una proposta di legge per legalizzare la cannabis e chiarire la legge 242/2016, aveva messo in evidenza l’urgenza di un atto legislativo per porre rimedio alle lacune della legge. “A livello politico, l’urgenza è quella di intervenire per chiarire e modificare la L. n. 242/2016, aggiungendo esplicitamente nel testo della legge la possibilità di vendere le infiorescenze di cannabis”, aveva dichiarato Matteo Mantero a Weed World Italia. A ridosso della sentenza, Matteo Mantero ha presentato al Senato una proposta di modifica della legge 242/2016, consentendo la vendita delle infiorescenze per uso alimentare o per uso erboristico, consentendo la vendita delle infiorescenze e rendere possibile la selezione di nuove genetiche. Anche per il presidente di Federcanapa Beppe Croce, questa sentenza non cambia nulla dal punto di vista legale. “Sembra molto chiara la frase della sentenza che afferma che non è reato commercializzare i prodotti di cannabis che non contengano effetti ‘droganti’. I dati della letteratura forense internazionale dicono che sotto lo 0.5% non è mai stato rilevato alcun effetto psicotropo”, ha commentato Beppe Croce. “Gli effetti della sentenza però, hanno scatenato una ‘caccia alle streghe’. Bisognerebbe anche conoscere le motivazioni che hanno portato a questa sentenza, ma finché si commercializzano prodotti sotto lo 0,5% non si commette reato”.
Le motivazioni della sentenza
E alla fine le motivazioni della sentenza sono arrivate. L’11 luglio 2019, la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite Penali ha pubblicato le motivazioni della sentenza del 30 maggio. Le 19 pagine prodotte dalla Cassazione non aggiungono nulla di nuovo a quanto già detto dalla sentenza del 30 maggio, secondo quanto dichiarato dall’avvocato Carlo Alberto Zaina. “I giudici hanno escluso dalla legge n. 242/2016 la commercializzazione delle infiorescenze e l’hanno inserita nel DPR 309/90 (Testo Unico sugli stupefacenti, ndr) partendo dal presupposto che sia illecita, salvo che il prodotto commercializzato sia privo di efficacia drogante”. Le motivazioni della cassazione hanno interpretato restrittivamente la legge 242/2016, escludendo dalla legge la possibilità di commercializzazione delle infiorescenze e tutto ciò che non è contenuto nella legge. Infatti, si legge che “la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti, quali foglie, infiorescenze, olio e resina […], in assenza di alcun valore soglia preventivamente individuato dal legislatore penale rispetto alla percentuale di THC, rientrano nell’ambito dell’art. 73, commi 1 e 4 del Testo Unico sugli stupefacenti”. Ma è dal 1989 che la giurisprudenza e la scienza hanno conclamato che il livello di THC dello 0.5% sia la soglia limite per la quale sia assente una efficacia drogante. Ne da conferma anche una circolare del Ministero dell’Interno del 2018, che considerava illecite tutte le sostanze sotto quella soglia.
“Non si può ignorare un criterio che in 30 anni è riconosciuto anche sul piano tossicologico. Si può forse ammettere che su questo criterio si possa operare un controllo quantitativo del THC sulla singola confezione, ma le motivazioni della sentenza producono più confusione di prima” spiega Zaina.
Il caos interpretativo prende le mosse da una legge che necessita di essere chiarificata e nella 242/2016 deve essere introdotta anche la commercializzazione delle infiorescenze di cannabis e dei prodotti da esse derivati.
Anche l’avvocato Giacomo Bulleri, esperto sulla canapa industriale, evidenza alcune lacune all’interno delle motivazioni. “Una grossa lacuna da parte dei giudici è il fatto di non aver menzionato due norme fondamentali appartenenti al quadro normativo europeo sulla canapa: una è quella contenuti nel Trattato sul funzionamento dell’UE che definisce la canapa come prodotto agricolo e l’altra è la si trova nel Regolamento del 2015 che la qualifica come pianta industriale. Questa lacuna è molto grave”, spiega l’avv. Bulleri.
“La soluzione non poteva venire dalla cassazione, che decide se una condotta è reato oppure no. C’è un problema di persone che hanno fatto affidamento su una legge dello Stato e un problema di violazione delle libertà individuali, vale a dire la libertà di far uso della del prodotto agricolo della cannabis. Questo è un problema che dovrà andare davanti alla Corte Costituzionale o davanti alla Corte di Giustizia Europea, dove si valuterà se queste norme restrittive italiane possano ledere o meno il Mercato europeo comune”, aggiunge l’avv. Bulleri.
Questione di THC
La partita della cannabis light si gioca sul cosiddetto effetto drogante. Gli esperti e gli addetti del settore lo chiamano THC, i profani “lo sballo”. I giudici della corte Suprema, efficacia drogante. Sebbene in questa pianta siano presenti più di 100 principi attivi, tra cui anche il cannabidiolo (CBD), il cannabinolo (CBN), il cannabigerolo (CBG) e altri, la peculiarità del THC è proprio quella di rilasciare un effetto psicotropo ed essere il casus belli della guerra contro la pianta della cannabis. Le infiorescenze che si vendono nei cannabis shop sono privi di efficacia drogante proprio perché rispettano il limite di THC dello 0.5%. La sentenza del 30 maggio, in pratica, ha ribadito un concetto in termini di efficacia drogante che i commercianti e le aziende rispettano sin da quando è nato questo settore. Per efficacia drogante infatti, si deve intendere l’idoneità effettiva del prodotto a produrre alterazioni percettive della realtà circostante. Per la cannabis, si può parlare di efficacia drogante solo se viene superato un duplice limite: quello dello 0.5% di THC e quello di un effettivo peso dello stesso principio attivo che sia compreso fra i i 5 mg e i 25 mg, come spiega un documento sulla corretta commercializzazione dei derivati della cannabis, pubblicato sul sito online araccolta.org.
Il paradosso della cannabis light
Grazie alla legge 242/2016 che aveva lo scopo di promuovere la filiera della canapa industriale, il settore della cannabis light era iniziato ad espandersi a macchia d’olio in tutto il territorio nazionale.
Secondo la Coldiretti, il boom della cannabis legale ha incrementato la coltivazione da 400 ettari nel 2013 a 4000 ettari nel 2018. Centinaia di aziende e agricoltori hanno iniziato ad investire nel settore della canapa. In Italia sono stati aperti più di 700 negozi e growshop in franchising. Uno studio di fattibilità condotto dal ricercatore italiano Davide Fortin ha mostrato come il mercato della cannabis potrebbe generare un introito di almeno 44 milioni di euro all’anno e creare un’occupazione di quasi 1000 persone. Ma ora, dopo la sentenza del 30 maggio, tutto il settore è in bilico tra la paura di dover rinunciare opportunità che questo mondo stava offrendo e la voglia di continuare.
I precedenti giuridici
L’ambiguità della legge n. 242/2016 ha confuso anche i giudici. Ci sono state sentenze a favore della commercializzazione della cannabis light e sentenze che ne vietavano la vendita. Tra le più importanti la sentenza della Cassazione del 29 novembre 2018 n. 4920, considerava legittima la commercializzazione della cannabis light.
Prima della sentenza del 30 maggio, l’interpretazione della legge si divideva principalmente in due orientamenti. Uno restrittivo, che sosteneva la liceità della cannabis sia circoscritta alla sua coltivazione e alla destinazione dei prodotti coltivati entro la lista contenuta nella n. 242/2016. L’altro orientamento, invece, sosteneva che la liceità della commercializzazione delle infiorescenze costituirebbe un corollario logico-giuridico del contenuti della legge n. 242/2016, e che quindi sia lecito vendere le infiorescenze della cannabis e i suoi derivati. Infatti, Come aveva scritto l’avvocato Giacomo Bulleri, “l’utilizzo del termine filiera denota come la legge sia naturalmente rivolta alle aziende (agricole e commerciali), le quali naturalmente dovranno poter vendere i prodotti ottenuti dalla filiera. Appare contrario ad ogni logica giuridica sostenere che la legge n. 242/2016 sarebbe rivolta soltanto alla coltivazione della canapa e non alle fasi successive”.
Attacchi politici
Per capire la portata politica della sentenza del 30 maggio, dobbiamo distogliere gli occhi per un attimo dai cavilli giuridici e legislativi della sentenza e focalizzarci sulla percezione che politica ha della cannabis light.
Le reazioni alla sentenza da parte di esponenti politici non si è fatta attendere. A cominciare dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini. “Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano”, aveva dichiarato il Ministro dell’Interno a seguito della sentenza. Ed è Matteo Salvini il politico che più di tutti ha ostacolato il settore.
Infatti, il 30 maggio era arrivato dopo un mese in cui alcuni esponenti politici avevano cercato di screditare questo settore. Si era cominciato con la polemica che è girata intorno al 4.20 HempFest, l’Expo Internazionale della Cannabis tenutosi a Milano a maggio 2019. In quell’occasione, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si era scagliata contro la fiera, chiedendo pubblicamente “al Ministero dell’Interno e al Comune di Milano di bloccare immediatamente l’International Cannabis Expo” perché pubblicizzava l’evento con “enormi manifesti che riportano la scritta ‘Io non sono una droga’ sotto una grande foglia di cannabis”. Ma non è stata l’unica a scagliarsi contro l’evento. Anche la consigliera comunale di Milano Alice Rienta (Partito Democratico) aveva criticato la scelta di usare lo slogan “Io NON sono una droga” sugli striscioni in giro per Milano.
Ma è stato il Ministro dell’Interno e capo politico della Lega Nord Matteo Salvini ad aumentare la preoccupazione tra gli addetti del settore della cannabis. Mercoledì 8 maggio, al termine di un incontro con i rappresentanti di alcune comunità di recupero dei tossicodipendenti, Matteo Salvini aveva dichiarato: “darò indicazioni a tutti i responsabili delle forze dell’ordine di andare a controllare tutti i negozi, i presunti negozi turistici di cannabis, che per quanto mi riguarda vanno sigillati dal primo all’ultimo perché sono un incentivo allo spaccio e all’uso di sostanze stupefacenti. Ce ne sono più di mille al di fuori di ogni regola e di ogni controllo. Io non aspetto i tempi della giustizia. La droga è un’emergenza nazionale devastante e dunque dobbiamo usare tutti i metodi democratici per chiudere questi luoghi di diseducazione di massa. Ora usiamo le maniere forti”. Inoltre, aveva annunciato la chiusura da parte del questore di Macerata Antonio Pignataro di due negozi ai quali erano stati sequestrati 25 prodotti che superano il limite stabilito dalla legge (da qui il termine “Modello Macerata”, ossia il sequestro preventivo dei prodotti o anche la chiusura degli esercizi commerciali dove si vende la cannabis light). La sera stessa, durante la trasmissione Otto e mezzo condotta dalla giornalista Lilli Gruber, Matteo Salvini aveva rincarato la dose. Ad ostruire, l’avanzata di Matteo Salvini contro i negozi di cannabis light, ci avevano pensato alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle, come la ministra della Salute Giulia Grillo aveva accusato Matteo Salvini di fare disinformazione sulla cannabis light.
Direttiva Salvini
C’è da dire che Matteo Salvini non era nuovo a queste direttive contro la cannabis light. Il 31 luglio 2018, aveva inviato una circolare ai prefetti autorizzando a trattare la cannabis light con concentrazioni di THC superiori allo 0,5% come una sostanza stupefacente. Ma, il 9 maggio 2019, Matteo Salvini è passato all’azione. Nella direttiva del Ministero dell’Interno inviata ai prefetti e agli enti predisposti, si evidenziava il fatto che tra le finalità della coltivazione della canapa industriale non fosse compresa la produzione e la vendita al pubblico delle infiorescenze, citando alcune sentenze contrarie alla vendita, ma ignorando quelle a favore. In pratica, il Ministro dell’Interno ha solo chiesto alle autorità predisposte di aumentare i controlli presso gli esercizi commerciali che vendono cannabis light e non di chiuderli, come aveva dichiarato pubblicamente.
La reazione del settore
In realtà, dichiarazioni politiche, direttive e circolari, non hanno avuto effetti rilevanti o differenti dal comportamento delle forze dell’ordine nei confronti dei commercianti di cannabis light. Al momento, non ci sono ancora dati definitivi per capire se ci sono stati aumenti di controlli e sequestri da parte delle forze dell’ordine. Alcuni growshop hanno chiuso i loro esercizi commerciali per paura di incorrere a sanzioni amministrative e penali. Per esempio, il growshop di Milano Mr. Nice di proprietà del rapper J-Ax e di suo fratello, ha chiuso subito dopo la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, per poi riaprire dopo qualche settimana.
E mentre tutti si interrogavano su cosa ne sarebbe stato del mercato, commercianti e aziende hanno reagito agli attacchi contro la cannabis.
Martedì 11 giugno 2019, alcuni imprenditori e addetti al settore della cannabis light avevano organizzato un sit-in davanti al Ministero dello Sviluppo Economico a Roma. In quell’occasione, gli addetti al settore della cannabis light chiedevano un intervento politico volto a chiarire la legge, evidenziavano come la cannabis fosse stata per troppo tempo criminalizzata e che c’era stata molta disinformazione da parte dei media.
Salvini querelato
Le dichiarazioni di Salvini contro il settore della cannabis light hanno avuto conseguenze. Il 25 giugno 2019, Gessica Berti, la titolare del dispensario di CBD Weedoteca di Budrio (in provincia di Bologna) aveva querelato Matteo Salvini.
Pubblicando una foto della querela contro il Ministro dell’Interno e leader della Lega Nord Matteo Salvini sulla pagina Facebook ufficiale del growhsop, la titolare accusava Matteo Salvini di aver commesso un reato di diffamazione previsto e punito dall’art. 595 del codice penale in merito alle dichiarazioni dell’8 maggio. “Tali frasi le ritengo diffamatorie per la mia persona e per la mia categoria, in quanto nel mio negozio non si spacciano droghe e non è un luogo di diseducazione”, si legge nel verbale di ricezione di querela sporta da Gessica Berti. Anche un altro imprenditore, Valerio Orlando, titolare dei punti vendita di Ischia “I semi della discordia”, aveva fatto lo stesso.
I sequestri
Controlli, perquisizioni, sequestri e chiusure di negozi di cannabis light ce n’erano stati. Ma dopo la sentenza del 30 maggio, hanno avuto maggiore eco mediatico. Il caso più emblematico è la chiusura del Green Planet Grow-Shop di Caserta, avvenuta il 31 maggio 2019. Il titolare del negozio Virgilio Gesmundo si era incatenato davanti al suo negozio per protesta, chiedendo che venisse riaperto “perchè non vendo solo infiorescenze, ma anche concimi, e altri prodotti per l’agricoltura”. Il negozio è stato poi dissequestrato il 14 giugno.
Il riesame di Genova
A ravvivare le speranze di un settore che stava brancolando buio ci ha pensato un’altra sentenza. Il 22 giugno i giudici del tribunale del Riesame di Genova hanno stabilito che la cannabis light e derivati non possono essere sequestrati preventivamente se il THC è inferiore allo 0.5%. La sentenza era arrivata dopo che un commerciante di Rapallo, difeso dall’avv. Salvatore Bottiglieri, si era rivolto al Tribunale del Riesame di Genova in seguito al sequestro di infiorescenze e prodotti derivati dalla cannabis light, avvenuto il 3 giugno. I giudici hanno dato ragione al commerciante disponendo la restituzione della merce. Secondo i giudici, manca una norma che stabilisca quale sia la percentuale di principio attivo che rende un prodotto con effetti psicotropi. Questa, è stata la prima pronuncia dopo la sentenza del 30 maggio. Quella sentenza infatti, non avendo chiarito la legge, ha lasciato la decisione ai giudici di valutare l’esistenza di un reato o meno caso per caso.
A Raccolta
Sebbene la sentenza del 30 maggio non avesse chiarito la legge sulla cannabis light e non avesse né decretato la sua illiceità (proprio perché la cannabis light possiede un livello di THC inferiore allo 0,5%), né l’avesse scagionata da qualsiasi tipo di reato, il settore della cannabis non poteva attendere gli interventi politici sulla legge.
Il 22 giugno 2019 si era tenuto il convegno A Raccolta, presso la Camera del Lavoro di Milano. L’incontro aveva l’obiettivo di fare chiarezza sulla situazione attuale e rispondere in maniera unitaria contro chi sta screditando la cannabis light.
Il convegno ha ospitato molti esperti del settore, ma anche politici e attivisti, tra i quali gli avvocati Carlo Alberto Zaina e Giacomo Bulleri, il presidente di Federcanapa Beppe Croce, il ricercatore Davide Fortin, il medico chirurgo dott. Lorenzo Calvi, esperto di cannabis medica, e molti altri.
Al termine della conferenza, si sono formati tre tavoli di lavoro nei quali si sono discusse delle regole per quanto riguarda la produzione, la commercializzazione e la destinazione d’uso e sono stati redatti dei disciplinari. All’interno di questo articolo potete trovare una guida su cosa fare in caso di perquisizione all’interno dell’esercizio commerciale da parte delle forze dell’ordine, contenuta nel documento “Le regole della commercializzazione” del tavolo di lavoro coordinato dall’avv. Carlo Alberto Zaina e reperibile online sul sito www.araccolta.org.
Conclusioni
Sebbene la sentenza del 30 maggio abbia messo in agitazione i commercianti e le aziende e i media abbiano buttato fumo negli occhi per quanto riguarda i suoi effetti a livelli pratico, il settore della cannabis continua a resistere e, come abbiamo visto, ci sono alcuni tentativi di formare una voce unitaria che si faccia sentire per vincere una battaglia comune. Una battaglia che dovrà essere giocata sul campo politico per chiarire una legislazione ambigua. Ma anche una battaglia mediatica che ha l’obiettivo di raccontare il mondo della canapa in Italia, un settore che alcuni media generalisti trattano in modo approssimativo, un modo che però ha un impatto rilevante sul mercato della cannabis. La disinformazione sulla cannabis light infatti, è stata un’arma politica per screditare il settore e mettere a rischio posti di lavoro, investimenti e una ripresa economica che stava trovando in questo settore molte opportunità.
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