L’ILVA di Taranto è la più grande acciaieria d’Europa. La famiglia Riva ne è la proprietaria. Si estende per 15 milioni di metri quadrati nella quale lavorano 12 mila operai che producono 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno ma l’inquinamento che produce è una minaccia per la città e per i suoi abitanti.
Secondo uno studio epidemiologico prodotto dalle associazioni ambientali e civiche, l’ILVA sarebbe responsabile di circa 12 mila morti causate da patologie respiratorie e cardiovascolari e oltre 27 mila ricoveri dovuti a patologie simili. A pochi chilometri dall’Ilva, l’agricoltore Vincenzo Fornaro (in copertina) gestiva la Masseria nnarmine, dove pascolava il suo bestiame e dove coltivava uliveti.
Il report di Peacelink
Il 3 maggio 2007 l’associazione ambientalista Peacelink aveva pubblicato uno studio analizzando i prodotti caseari e la carne derivante dal bestiame che pascolava vicino l’Ilva. I risultati delle analisi avevano rilevato di diossina in quantità notevolmente superiori a quelle consentite.
A seguito della denuncia di Peacelink, le autorità competenti, avevano abbattuto 1221 animali, 650 dei quali appartenenti a Vincenzo Fornaro, che fu costretto a chiudere la masseria.
“Abbiamo perso circa 300 mila euro a causa dell’abbattimento del mio gregge” racconta Fornaro. “Non potevamo più lavorare e tenere un gregge. Nonostante questo, la mia famiglia ed io avevamo deciso di non abbandonare questo terreno perché siamo nati e cresciuti qui. Le nostre radici sono qui”, racconta Fornaro, che aggiunge di aver perso sua madre a causa di un tumore provocato dall’inquinamento dell’Ilva.
Ambiente Svenduto
Nel 2014, Vincenzo Fornaro, insieme ad altre associazioni, aveva portato in tribunale la società che gestiva l’ILVA. Il processo, ribattezzato Ambiente Svenduto, si ruotava intorno ai danni causati dalla diossina e da altri metalli pesanti prodotti dall’acciaieria, in particolare dall’inquinamento prodotto dalle fornaci e il relativo disastro ambientale che aveva coinvolto l’area circostante la fabbrica.
Il processo Ambiente Svenduto, era iniziato nel giugno del 2015, dopo tre anni di indagini e sei mesi di udienze preliminari. A dicembre del 2016, l’Ilva e altre due holding appartenenti alla famiglia Riva avevano proposto un patteggiamento.
Il fitorisanamento
L’attivismo di Vincenzo Fornaro contro l’inquinamento prodotto dell’Ilva di Taranto lo ha portato a partecipare a convegni sull’ecologia e sui disastri ambientali causati dall’acciaieria. Grazie ad un’amicizia in comune, Fornaro aveva conosciuto Claudio Natile, il presidente di Canapuglia, un progetto culturale e imprenditoriale che ha lo scopo di divulgare al pubblico l’importanza della canapa dal punto di vista economico e ambientale.
“Come associazione, vogliamo stimolare la ricerca sugli usi potenziali della canapa e sui suoi molteplici usi, compreso quello della bonifica di terreni contaminati. La canapa, insieme ai girasoli, era stata usata a Chernobyl. Abbiamo individuato in Fornaro l’emblema della battaglia contro l’inquinamento dell’acciaieria” racconta Claudio Natile.
Nel 2013, Vincenzo Fornaro e Claudio Natile di Canapuglia avevano iniziato una collaborazione. Natile aveva proposto a Fornaro un esperimento. La sua idea era quella di coltivare piante di canapa sul terreno contaminato di Vincenzo Fornaro per verificare se la canapa potesse essere utile per bonificare il terreno contaminato da diossina, PBC e metalli pesanti.
Questo processo di assorbimento viene chiamato fitorisanamento, una tecnologia naturale di bonifica che consiste nell’assorbimento dei materiali nocivi presenti nel terreno da parte della canapa.
“Lo scopo di questo progetto consisteva nel valutare se la canapa potesse essere usata per il fitorisanamento, per capire se la canapa potesse assorbire i materiali nocivi e in che quantità, oltreché verificare se la pianta potesse essere riutilizzata dopo l’assorbimento di questi materiali”, spiega Claudio Natile.
Circondare l’ILVA con la canapa
“Non sapevo come si coltivava la canapa. Il terreno deve essere friabile, i semi si devono piantare a 2 cm in profondità. Abbiamo piantato 45 kg di semi per ettaro. Abbiamo usato semi francesi e italiani con un basso livello di THC.. La semina ci è costata €400 ad ettaro. Solitamente, un agricoltore può ricavare fino a €1500 da un ettaro di canapa. Si possono ricavare 1200 kg di piante ed essere vendute a €15 ogni 100 kg”, spiega Vincenzo Fornaro, mentre toglie l’erba in eccesso della base di una pianta di canapa.
Non è la prima volta che la canapa è stata usata per bonificare i terreni contaminati. L’esplosione di un reattore nucleare a Chernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986, aveva creato il più grande disastro nucleare al mondo. L’esplosione aveva contaminato i terreni fino ad un raggio di 30 km. Nel 1998, l’azienda Consolidated Growers and Processors (CGP), Phytotech e l’istituto ucraino Bast Crop iniziarono a piantare canapa industriale e fiori di girasole per rimuovere i contaminanti dal terreno che circondava Chernobyl.
Nonostante la battuta d’arresto del progetto, questo esperimento fece da apripista all’idea di utilizzare la canapa per bonificare i terreni contaminati. L’idea di Claudio Natile e Vincenzo Fornaro era quella di creare una cintura verde che circondasse l’Ilva per creare un cuscinetto e limitare l’inquinamento prodotto dall’Ilva. Ciononostante, la soluzione reale per migliorare le condizioni ambientali della zona intorno all’acciaieria sarebbe quella di limitare al massimo l’inquinamento prodotto dall’acciaieria facendo rispettare i limiti preposti dalla legge.
Articolo tradotto dal numero 133 dell’edizione inglese di Weed World magazine